Postato
il 7 novembre 2010
Libro nero accusa:
tra campagne, industrie e famiglie, ogni anno sprechiamo 3,7 miliardi
di alimenti; 561 euro è la cifra che ogni famiglia italiana perde ogni
anno non consumando l’intera spesa.
Queste sono le parole iniziali del servizio sugli
sprechi alimentari in Italia pubblicato il 1 novembre 2010 sul
quotidiano La Stampa: questo è il servizio.
Lo spreco alimentare ha molte facce e genera una
filiera, parallela a quella produttiva, ma in senso contrario. Si
spreca nei campi agricoli, nelle cooperative, nelle industrie di
trasformazione, nelle imprese di distribuzione, nelle case dei
consumatori. E così rinunciamo a1 26% del pesce, al 36 dei cereali, a1
41 della frutta e della carne, al 48 delle verdure. Buttiamo ogni
giorno 3,7 miliardi di euro, il valore di media manovra economica, lo
0,3 per cento del prodotto interno lordo. Non siamo i soli: secondo la
FAO, la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire 12 miliardi di
persone. Ma questa è una magra consolazione.
L’analisi
delle cause
Il libro nero sullo spreco agro-alimentare in Italia oltre a denunciare
il volume degli sprechi, gli esperti ne analizzano le cause,
individuano gli anelli della catena in cui avviene la «dispersione»,
provano a proporre soluzioni. Teoricamente, ogni italiano dispone ogni
giorno di 3700 chilo-calorie di cibo: una volta e mezza il suo
fabbisogno energetico. In realtà, «l'eccesso di calorie a disposizione
degli italiani non sempre, anzi quasi mai, viene consumato» (se così
fosse, l'intera popolazione soffrirebbe di obesità, mentre «solo» il
67% degli uomini, il 55 delle donne e il 33 dei bambini è in
sovrappeso). In gran parte, dunque, l'eccesso di calorie a disposizione
«viene perso lungo tutta la filiera. Ogni giorno una certa quantità di
cibo, pur essendo perfettamente consumabile, viene gestita come
rifiuto». Un paradosso con conseguenze pesanti sotto diversi punti di
vista: alimentare, ambientale, sociale, economico.
Il primo anello della catena è lo spreco nei campi. L'anno scorso,
secondo i dati ISTAT, 17,7 milioni di tonnellate della produzione
agricola è rimasta sui campi. Si tratta del 3,3%. I picchi riguardano
gli ortaggi (12,5), legumi e patate (5,2). I motivi? «Si va da ragioni
meramente estetiche a quelle commerciali (prodotti fuori pezzatura) o
di mercato (costi di raccolta superiori al prezzo di mercato)». «La
quantità di orto-frutta sprecata nel 2009 avrebbe potuto soddisfare le
esigenze di una seconda Italia o di una Spagna».
Il secondo anello è lo spreco nelle cooperative o organizzazioni di
produttori. In un anno 73 mila tonnellate di prodotti vengono ritirati
dal mercato per evitare il crollo del prezzo (tra le destinazioni: il
compostaggio e la distillazione). Di questi, solo il 4% non viene
sprecato. Con un ulteriore paradosso. L'UE finanzia l'acquisto e la
distribuzione di questi prodotti. «Un controsenso, uno spreco nello
spreco. Contemporaneamente si finanziano gli agricoltori per rimanere
in campagna per produrre e la distruzione di parte di quei prodotti».
«Anche l’industria alimentare non è scevra dagli sprechi». Un'indagine
a campione stima la dispersione di 2 milioni di tonnellate di prodotti,
i1 2,2%: in gran parte, diventano rifiuti (un costo aggiuntivo). Quanto
ai mercati all'ingrosso e alla distribuzione organizzata, la quota di
spreco è stimata intorno all'1%. Anche in questo caso, per «motivi di
mercato».
«La situazione è ancora peggiore passando all'ultimo anello»: noi
consumatori. Nelle mense scolastiche lo spreco raggiunge i113-16%:
nelle famiglie il 17 sull'orto-frutta e il 39 su latte, uova, carne,
formaggi. Le cause sono le stesse: «eccessi di acquisti e
danneggiamento/deterioramento del prodotto per eccesso di giacenza in
dispensa».
L'impatto
sociale
Gli esperti hanno misurato l'impatto sociale, economico e ambientale
dello spreco. E infine provano a rispondere alla domanda: che fare? Due
1e proposte: favorire la conoscenza del problema a ogni livello, per
far crescere la consapevolezza soprattutto nei consumatori e promuovere
politiche fiscali che incentivino i comportamenti virtuosi.
L'esempio è la tariffa sui rifiuti: dove funziona bene (l'esempio è
Verona) è possibile ottenere uno sconto su quanto viene donato e non
gestito come rifiuto. L'effetto è duplice: chi non spreca risparmia 100
euro per ogni tonnellata di frutta o verdura e consente di nutrire
mille persone al giorno.

*** fine del
servizio ***
La situazione non è affatto semplice e sono molte
le fonti che stanno affrontando questa situazione. Immaginate
di avere fame, di non avere un
quattrino e di non poter chiedere un prestito. Immaginate, in altre
parole, di essere in una città sconosciuta a caccia di cibo.
All'elemosina c'è un'alternativa più dignitosa, mostruosamente ovvia,
sorprendentemente rivoluzionaria: andare
al supermercato. Questa
affermazione vi suonerà bizzarra, ma è proprio ciò che ha
fatto uno scrittore inglese Tristram Stuart che ha
cominciato a
cibarsi di alimenti gettati via dai supermercati facendone divenire uno
studio. Narra Stuart: "Nel
pomeriggio di un giorno qualsiasi in uno dei tanti Waitrose – catena up
market britannica – nella campagna del Sussex, non troppo lontano da
Brighton, abbiamo fatto la spesa fra i rifiuti per almeno 100 euro
mettendo in fila: tre confezioni di formaggio cheddar organico
grattugiato, un ananas, fette di tacchino bio, una confezione di panna,
quattro pizze, due sandwich con humus, un pacco di pan carrè, due chili
di carote, due di zucchine, uno di cavolfiori, mezzo chilo di salsicce…"
(…), in un articolo scritto da Leonardo Maisano e apparso sul Sole 24 Ore.

lo scrittore
inglese Tristram Stuart
Stuart si è talmente appassionato al problema che
del rovistare nel cassonetto ha fatto una specie di stile di vita,
senza patire più di tanto, dice lui narrando interamente la sua storia
in un testo dal titolo Sprechi, il cibo che buttiamo, che
distruggiamo, che potremmo utilizzare (edizioni Mondadori).
Stuart ha anche messo su un sito nel quale spiega
la problematica e propone aiuti in giro; il sito è QUI.
In Inghilterra, lo scorso 16 Dicembre si
è tenuto un pranzo gratuito per 5000 persone a base di frutta e verdura
fresche rispedite al mittente dalla grande distribuzione e destinate
alle discariche. La proposta arriva dall'associazione "This
is rubbish" che si occupa di sensibilizzare il
Governo e gli inglesi, riguardo alla necessità di imparare a
risparmiare sul cibo.
Dal sito www.milanoweb.com si rilevano le seguenti
cifre: Secondo
Andrea Segré, preside della facoltà di Agraria dell'Università di
Bologna e autore del progetto "Last Minute Market", ogni 24 ore gli
statunitensi gettano nei rifiuti 12 mila tonnellate di cibo
ancora perfettamente "buono". In Italia le tonnellate di alimenti
sprecati sono almeno 4000 al giorno: 4 miliardi di euro è il valore dei
beni alimentari che finiscono nei rifiuti di ogni anno nel Belpaese.
Nei dettagli scopriamo che il 15% di pane e pasta vengono eliminati
ogni giorno (a Milano ogni 24 ore finiscono nel cestino 180 quintali di
pane); così il 18% della carne e il 12% di verdura e ortaggi. È come se
ogni famiglia italiana buttasse annualmente 600 euro nell'immondizia,
su una spesa mensile di 450 euro, circa l'11%. C'è poi l'aspetto
umanitario, tenuto conto del fatto che sono circa 150 milioni le
persone del Terzo Mondo che potrebbero essere sfamate dal cibo che -
prodotto dai paesi occidentali - finisce in spazzatura. Curando i
destini del cibo sprecato si avrebbe anche un miglioramento "diretto"
delle condizioni climatiche, se si pensa che solo i latticini
acquistati e non consumati producono ogni anno 640 mila tonnellate di
anidride carbonica, principale gas serra. E che - secondo i dati emersi
dal Copenaghen Klimaforum 09, il Forum Globale della Società Civile sui
cambiamenti climatici che si svolge parallelamente al Climate Change
Summit delle Nazioni Unite - "il 10% delle emissioni di gas serra dei
paesi sviluppati deriva dalla produzione di cibo che viene giornalmente
gettato". (fonte www.milanoweb.com)
Come
porre rimedio?
L'analisi tecnica della situazione la lasciamo agli economisti e agli
eruditi depressi e malticci; noi cerchiamo di rientrare in possesso
della nostra etica; questa parola significa collegato al divino,
per cui si tratta di FARE azioni che determinino un prodotto di valore.
Ecco un esempio di banale vademecum:
Intanto ad acquistare meglio.
Fare meglio la lista della spesa: non andare al
supermercato quando abbiamo appetito a riempire il carrello di cose
inutili. A tal proposito Stuart ci fa osservare che un elemento che
contribuisce parecchio allo spreco sono le offerte “prendi tre, paghi
due”: compri ciò che non ti serve e finisce che il consumatore cestina
l’eccedenza. Se acquistassi una cosa a prezzo ridotto sarebbe molto
meglio. In Inghilterra ogni anno finiscono in discarica 480 milioni di
yogurt mai aperti.
Controllare lo stato dei cibi che abbiamo nel
frigorifero; consumarli, invece di fare venire la muffa nei barattolini
e collezionare verdura marcia.
Occuparci un po’ di più del problema: aiutare
le Onlus (come ad es. il Banco Alimentare) che si impegnano
nel recuperare il cibo in eccedenza oppure a creare campagne
di
sensibilizzazione.
Evitare lo spreco alimentare in assoluto.
(fonte: G. Gai
Blog QUI)
Non credo ci sia molto altro da dire.
Arcangelo Miranda
fonte immagine in testa:
http://www.gabriellagai.it/riciclo-e-riuso/evitare-lo-spreco-alimentare/
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